01/12/11

Report dal Medimex 2011: “Chi ha paura della musica?”


«La musica è lavoro». È questo lo slogan a caratteri cubitali che ci accoglie appena entriamo nell’area della Fiera del Levante di Bari riservata al Medimex.
Nonostante questa réclame abbastanza coraggiosa, però, ciò che emerge dal convegno “Chi ha paura della musica?” moderato da Luca Valtorta è un imbarazzato senso di impotenza da parte degli stessi addetti ai lavori. Quando si capirà che dietro la musica, ma la questione la si può allargare facilmente alla cultura in generale, c’è tutto un mondo che non appare ma che è tremendamente reale fatto di fonici, tecnici del suono, giornalisti di settore, ecc., che lavorano e che vivono di quello che fanno? È questo quello che ci si chiede ma al quale non si trova risposta.

Andiamo con ordine. Ospite d’eccezione di questo convegno è stato senza dubbio Franco Battiato, artista fuori da qualsiasi schema che ha raccolto un consenso che si può azzardare a definire popolare. Un artista dotato di enorme fortuna oltre che di talento, che nell’incontro di Bari esordisce raccontando di come anche lui si sia trovato di fronte alla vigilanza urbana che gli ha staccato la corrente per farlo smettere di cantare. Senza dare spiegazioni.
Affianco a lui un ironico Caparezza racconta diversi aneddoti, l’arrivo nella grigia metropoli di Milano dalla solare ma decentrata Molfetta nonché il ritorno nella cara terra pugliese dopo aver rifiutato diversi compromessi. Di compromessi necessari parla Daniele Silvestri che con tutta onestà ammette di aver pianto per giorni all’idea di dover accettare una presenza ad un «programma imbarazzante» della Mediaset: Stranamore.
Ma è da Vasco Brondi che probabilmente si ascoltano le parole che indubbiamente sintetizzano il pensiero comune soprattutto dei suoi coetanei. Ancora una volta, senza neanche volerlo anzi rifiutando tale rappresentazione di sé, il giovane cantautore “visionario” incarna quelli che sono i pensieri e lo stato d’animo di molti. Non ha rimorsi e ammette che più di cercare di aprirsi porte ha cercato di chiudersele: ha lasciato il suo lavoro nel bar di famiglia e di lì la direzione da prendere è stata abbastanza semplice, ossia quella indispensabile della risalita. «Per il momento vivo di questa specie di lavoro – dice – che può finire, si trova un’altra soluzione». Il lavoro è ovviamente quello del cantante che per il momento gli sta riservando non poche soddisfazioni ma anche qualche grattacapo. Le sue parole rivelano tutta una serie di incertezze fagocitate da quel clima di perenne instabilità e precariato che caratterizza questi anni.
Pierpaolo Capovilla (Il Teatro degli Orrori, One Dimensional Man), con il suo inconfondibile tono schietto e diretto tipico anche dei suoi testi, si scaglia contro una classe politica che si è impadronita anche dei principali canali della cultura, come ad esempio la RAI, e parla della chiusura – definita iniqua – dei centri sociali che garantivano molti più concerti di ora. Infine ribadisce la necessità di fare musica (una «vocazione») che significa inevitabilmente fare critica politica della società, ossia «definire i limiti esistenziali della società […] per liberarsene». Gli applausi vengono spontanei un po’ a tutti.
Dal tono decisamente diverso è l’intervento di Tommaso Colliva, esempio vivente di connubio fra lavoro e musica, che ci racconta della sua esperienza come fonico del suono nonché del suo esperimento con i Calibro 35 che reinventano e adattano, con il loro timbro, le colonne sonore italiane degli anni Settanta. Un esperimento senza dubbio originale, verrebbe da dire, eppure le colonne sonore sono un patrimonio della cultura italiana. E allora come mai ristampe discografiche di genere – le colonne sonore del passato, appunto –  si trovano soltanto fuori dai confini nazionali?

Nelle battute conclusive dell’incontro viene invitato sul palco Luca De Gennaro, direttore di MTV Italia che ammette di aver provato a dedicare alla musica indipendente italiana uno spazio ben preciso ma che purtroppo questo non ha riscosso molto consenso di pubblico. Risponde a tono Franco Battiato dicendo che l’errore è stato proprio quello di relegare la musica in un ghetto: «se tra un video di Lady Gaga e l’altro ci mettevate quei tre stronzi forse anche la musica indipendente italiana sarebbe conosciuta da più gente!» Applausi e soprattutto molti sorrisi amari.

In sostanza un incontro che si proponeva di trovare degli spunti adatti per contrastare la chiusura di spazi riservati alla musica di qualità. In realtà, però, ognuno ha portato la sua preziosa esperienza nel settore, ma ciò che si evince è un non-saper-come-fare per cambiare l’immaginario collettivo secondo il quale la musica, «questa specie di lavoro», difficilmente si traduce in un lavoro vero e proprio.

Andrea Russo 


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